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Il Colore


Il significato del colore, le ragioni che ci coinvolgono nell’interazione col colore: estetiche, storiche, antropologiche, etiche, politiche e altro ancora...

"La conversazione" (particolare) Henri Matisse, 1912 | Esposta all' Ermitage di San Pietroburgo, Russia

La couleur est une nécessité vitale. C’est une matière première indispensable à la vie, comme l’eau et le feu. On ne peut concevoir l’existence des hommes sans une ambience coloré.

Fernand Leger. La couleur dans le monde 1937.

Ma la vita appartiene al genere realistico o a quello fantastico?

(Borges)

Annick Le Guérer, antropologa francese esperta di storia e filosofia degli odori, sostiene che “l'olfatto è il senso del futuro ed è un viaggio insieme istintivo e mentale, emotivo e mnemonico”. In grado di evocare suoni e colori. Pare che tra i grandi primati della terra, l’uomo sia l’unico scimmione che vede a colori e che questo senso così esclusivo non apparterrà a quell’intelligenza che i transumanisti, che stanno lavorando alla nostra eternità, trasferiranno dal nostro cervello a un computer. Forse perché secondo gli storici della lingua all’origine della parola "colore" ci sarebbe il verbo celare: “le apparenze fenomeniche seducendo lo sguardo nasconderebbero la vera essenza delle cose. Il colore, dunque si mette(rebbe) tra noi e la conoscenza.” (Riccardo Falcinelli Cromorama Einaudi 2017).

Per i così detti biohacker della Silicon Valley la morte non è più un problema filosofico, ma tecnico che è quindi possibile risolvere incrociando umani e macchine. “La loro ideologia si riduce a suddividere tutte le faccende della vita in problemi e soluzioni” (Mark O’Connell Essere Una Macchina Adelphi 2017). Per superare i limiti mortali del cervello e per ampliarne all’infinito la conoscenza, stanno lavorando a sistemi interconnessi di nodi in cerca di informazioni, in viaggio lungo varchi sempre più ampi per tutto l’universo. Se vogliamo essere qualcosa di più di semplici animali, dobbiamo affidarci alla tecnologia: diventare a nostra volta macchine. “Per risolvere il problema bisogna penetrare nel cervello e distruggere comportamenti vestigiali che non hanno più alcuna utilità: l’evoluzione da sola non procede abbastanza in fretta” (Tim Cannon).

Tuttavia, il tecno-ottimismo radicale della Silicon Valley pare non tenga conto che degli oggetti percepiamo l’identità cromatica prima della forma e della funzione. È questo un concetto troppo banale per essere preso in considerazione dai transumanisti che si occupano dell’emulazione del cervello umano, anche se il colore è il nostro modo forse più semplice ed efficiente per entrare in relazione col mondo. Ne rimaniamo suggestionati al punto da categorizzarne relazioni sinestetiche: una identica bevanda verrà percepita più dolce se rossa, più amara se marrone, più aspra se verde. Il gusto, il tatto, l’udito e l’odorato, vengono percepiti dall’intelligenza artificiale come segnali distinti, input in grado di generare azioni conseguenti codificate a priori. Questo metodo ci porta a considerare il colore in quanto tinta unita, in realtà il gusto per il colore non può prescindere dalla disomogeneità della materia. In passato era la materia a generare il colore. Il lapislazzulo per il blu, la terra di Siena per l’ocra, la porpora per il rosso. Questo porta il colore ad avere una matericità che non si limita alla tinta, ma diventa lui stesso corpo tridimensionale.

È questo il differente significato che all’architettura riesce a dare una struttura colorata in pasta rispetto a un’altra verniciata solo superficialmente o un intonaco a encausto tirato con i cestri caldi, affinché gli ossidi possano affiorare marezzandone la calce. O l’uso di materiali lasciati alla propria ossidazione naturale, per goderne la profondità e la continua trasformazione. In fondo è la lucentezza, la metallicità, la riflessione dei metalli che ci fa dire color oro, argento o rame anche se in realtà non si tratta di colori, ma di materiali. Ed è questo che, assieme alla forma, rende l’architettura dinamica e quindi espressiva, dialogante, coinvolgente.

Ed era esattamente questa la ricerca dei pittori rinascimentali che, attraverso la così detta tecnica delle velature, aumentavano la profondità della narrazione attraverso la tridimensionalità del colore e i suoi effetti dinamici. La rivoluzione, vale a dire il passaggio alla compattezza cromatica, avviene all’epoca degli impressionisti quando il colore viene commercializzato in tubetto subendo l’inesorabile cifra dei tempi: la velocità. Se Leonardo macinava le polveri per ottenere i suoi colori, Monet li stendeva come escono dal tubetto incontrando i consensi della nascente società di massa. Il che non vuol dire ancora appiattire e rendere omogeneo il colore fino a farlo diventare una semplice tinta industriale. Giuseppe Bartolini, pittore pisano, mi spiega che riesce a ottenere i suoi cieli apparentemente monocromatici, ma di un grigio così denso di malinconia da emozionare chiunque, mescolando almeno 6 colori diversi e applicandoli a strati con un pennello di 5 millimetri di larghezza, in mesi di pignolissimo lavoro.

Un lento cammino quello del colore anch’esso incredibilmente sottomesso alle culture dominanti. D’altra parte, sul miscelare colori diversi pesano antichissime condanne. Ci sono passi dell’Antico Testamento che, per negare l’unione tra uomini di razze diverse, proibiscono, in quanto satanico, tessere il lino con la lana avendo il primo provenienza vegetale e l’altro quella animale. Per questo in occidente miscelare il blu col giallo per ottenere il verde, nel medioevo, era considerato illegale. Quando da piccolo ho appreso che i diversi colori vengono percepiti dal nostro corpo a causa delle differenti lunghezze d’onda che emanano, mi sono rifiutato di crederci anche se percepivo un certo disagio costatando che a differenza dell’odore, del sapore o del rumore -che sono prodotti dai corpi e a loro intrinsecamente legati- il colore quando chiudi gli occhi sparisce, smette di esistere, configurandolo quindi non come una cosa, ma come una sensazione. In effetti senza la luce non ci sarebbero i colori -anche se non sono così certo nemmeno del contrario.

I colori sono fenomeni che hanno nella luce il loro fondamento fisico, ma che afferiscono a realtà neurologiche e percettive legate alla sensazione e alla sua interpretazione. Per questo il tema dei colori ha avuto nella storia della filosofia, da Democrito a Cartesio e Galileo, un ruolo importante. È tuttavia Berkeley che afferma che noi non conosciamo le cose, ma solo le idee e che dunque l'essere delle cose consiste nell'essere percepite ("esse est percepi"). Molto più tardi lavorando con i volumi, i vuoti, i pieni, le loro ombre e i loro colori ho scoperto che questi ultimi possono vibrare alla luce in modo molto diverso, addirittura a seconda del nostro stato d’animo. I colori coinvolgono e interagiscono con i nostri sensi in modo attivo e indipendente dalla nostra volontà e consapevolezza.

I colori nel nostro immaginario sono portatori di sensazioni in grado di influenzare i nostri sentimenti, i nostri comportamenti, la nostra salute e questo per predisposizioni universali innate o indotte culturalmente. Così nella nostra cultura, che a cominciare dall’Alto Medioevo ci viene imposta in modo sempre più sottile se non subdolo, i colori sono anche portatori di complesse dinamiche sociali. Come il rosso è schietto e diretto; il viola, il colore della quaresima, è tinta contrita, riservata e formale. Il giallo, interpretato come la degenerazione delle qualità luminose dell’oro, è il colore della falsità, della menzogna e dell’inganno. I traditori, i mussulmani, gli ebrei nelle raffigurazioni medievali indossano sempre qualcosa di giallo. “Una clausola obbligata per Giuda, richiesta dai committenti dell’arte e riconosciuta senza pensarci troppo dalle masse analfabete che frequentano le chiese: se è giallo, è Giuda” (Riccardo Falcinelli).

Il colore più prezioso e salvifico per eccellenza è il blu, anticamente ricavato dal costoso lapislazzulo. La veste di Cristo sarà quindi blu e nella Venezia del ‘500 viene proibito, alle donne ricche, ma che non siano di alto casato, utilizzare abiti di quel colore. Il rosso è universalmente considerato il colore legato al sesso, alla passione, all’irruenza, all’allarme, al pericolo e questo molto semplicemente perché è il colore del sangue, della bocca, della lingua, della cresta e dei bargigli, dei genitali di molti mammiferi, del fuoco. La cromoterapia, che si occupa dell’influenza del colore sulla nostra psiche, reputa il blu e il verde tinte calmanti: il verde perché maggiormente presente in natura e il blu perché ci ricorda in modo inconsapevole la pace del ventre materno nel quale pare sia dominante. Johannes Itten, insegnante al Bauhaus, sosteneva che entrare in una stanza tutta dipinta di rosso accelera il battito cardiaco e aumenta l’attività conduttiva della pelle più di una stanza azzurra.

La cromoterapia ayurvedica, ancor oggi, fa uso dei colori in corrispondenza delle aree dei singoli chakra. Se un colore come il rosso richiama il fuoco, la passionalità, il calore (chakra inferiori), colori come il blu o l’indaco sono tonalità riposanti, profonde, rinfrescanti (chakra superiori). Studiosi come Alexander Keyserling hanno verificato che ogni chakra ha una specifica frequenza vibratoria, cui corrisponderebbe un colore. Utilizzando colori specifici sarebbe dunque possibile stimolare le frequenze dei chakra, a seconda dell’esigenza. Per lavorare sui chakra, la cromoterapia ci fa utilizzare oggetti o alimenti del colore di quel chakra che sentiamo carente o bisognoso; così, ad esempio, per attivare Anâhata mangeremo più cibi di colore verde (ortaggi), prenderemo tè verde e via di seguito.

Il bianco e il nero vengono invece spesso utilizzati, al di fuori dell’esperienza cromatica, per identificare concetti all’estremo opposto: massimo chiarore o massima scurezza. Addirittura, come nel caso del Neorealismo o del Modernismo in architettura, sono utilizzati per identificare un impegno morale e tecnologico distante dalla frivolezza e dall’evasione del colore. Del resto, "mangiare in bianco" indica dieta e penitenza e al contrario "farne di tutti i colori" significa assumere comportamenti smodati e fuori regola. Non è altrettanto strutturato e univoco il significato che si da al colore nella politica anche se il colore rosso resta quello di maggiore significato nelle battaglie sociali. In epoca romana e nel medioevo la bandiera rossa veniva impiegata dagli eserciti per intimidire il nemico e voleva indicare che, in caso di vittoria, non ci sarebbe stata pietà. Veniva issata anche dalle navi pirata prima dei saccheggi. In seguito, simboleggiò l’essere disposti a battersi: per esempio veniva issata su castelli e città assediate per indicare che non si sarebbero arrese.

Il 17 luglio del 1791 il generale Lafayette, comandante della guardia nazionale francese, issò una bandiera rossa su Campo di Marte, a Parigi, per indicare che era stata imposta la legge marziale e per invitare i manifestanti ad allontanarsi. Molti non obbedirono e vennero uccisi. I giacobini manifestarono allora contro la strage sventolando una bandiera rossa in onore del sangue dei martiri che erano stati uccisi. Da allora il rosso è visto come il colore della sinistra, simbolo delle rivolte popolari contro l’autorità costituita. L’uso della bandiera rossa nelle rivolte si rafforzò nel 1831 durante le proteste a Merthyr Tydfil, in Galles, quando ci furono duri scontri tra minatori armati e la polizia pagata dai proprietari delle miniere. I minatori sventolarono due bandiere rosse, alcuni raccontarono che si trattava delle camicie insanguinate dei loro compagni uccisi. Nel 1889 il giornalista socialista irlandese Jim Connell compose la canzone "Bandiera rossa", che paragonava il colore a quello del sangue dei martiri del popolo. In Italia il nero è stato appannaggio del partito nazionale fascista, pertanto, i democristiani per distinguersi dai socialisti e comunisti (rossi) e dai neofascisti (neri), fecero proprio il colore bianco.

Nella fotografia artistica il colore ha faticato a entrare e lo ha fatto definitivamente quando è diventato la chiave per smarcare, dal moralismo bianco e nero della cultura tradizionale, azioni progressiste se non addirittura trasgressive quali quelle del movimento omosessuale, che non a caso adotta la bandiera arcobaleno, o nelle fotografie sature di colore di Pierre et Gilles o di David LaChapelle o nelle regie di Pedro Almodóvar. Come al solito le ragioni che ci coinvolgono nell’interazione col colore sono molteplici: estetiche, storiche, antropologiche, etiche, politiche. Hanno inizio ancora prima dell’esperienza percettiva così detta sensibile, contribuendo alla conoscenza e dandoci, come sosteneva Aristotele, accesso al regno dell’universale fatto di emozioni e di finzione. Nulla di più lontano dal cammino intrapreso dai tecnorazionalisti che parlano degli esseri umani come di computer costruiti sulle proteine e del cervello umano come una “macchina di carne” (Marvin Lee Minsky).

© Edizioni Archos

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