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L'etica dell'abitare: uomo e natura

Occorre orientare i processi di appropriazione antropica del suolo verso una prospettiva in grado di integrare -e non allontanare- uomo, natura e architettura


Frank Lloyd Wright, Fallingwater o Casa Kaufmann. Pittsburgh Pennsylvania


Secondo Frank Lloyd Wright abitare significava vivere in armonia col nostro tempo, con il luogo e l’uomo. Tre dimensioni figlie di una stessa madre, la natura, della quale trascuriamo l’incredibile complessità semplificando azioni di trasformazione del territorio e rendendo sempre più fragile la nostra sopravvivenza. Trasformare territori modellati pazientemente milioni di anni prima che l’uomo arrivasse sulla terra, implica concetti ecologici ambientali, sociali e comportamentali che vanno affrontati contemporaneamente, introducendo metabolismi diversi da quelli sviluppati fino ad ora.


La parola ecologia è stata coniata da Ernst Haeckel nel 1866: studia le relazioni tra gli organismi e il loro ambiente, i luoghi in cui vivono, dove trovano sostentamento e dove interagiscono. Un approccio imprescindibile per chi vuole collegare o separare sistemi consolidati che hanno generato quella biodiversità che -abbiamo finalmente capito- essere la vera ragione di sopravvivenza dell’intero pianeta.


La ricerca di identità territoriale implica modi alternativi di pensare l’espansione urbana che vanno oltre l’aspetto architettonico che, anche se in grado di influenzare i comportamenti, ne è per lo più la conseguenza. Affrontare il nesso tra il benessere degli abitanti, la conoscenza attiva dei luoghi e il loro utilizzo consapevole non può trascurare il fatto che le nostre città sono meta di abitanti diversi per cultura, classe sociale, economie, ma anche di altri esseri animati e non che comunicano incessantemente con noi.


Puntare su insediamenti ecologici senza studiare diversi tipi di infrastrutture in grado di salvaguardare le biodiversità, ma soprattutto nuove collettività (non solo umane) integrate in un ecosistema in grado di rigenerarsi mediante il contatto autentico con la natura, implica mantenere i tempi giusti nei collegamenti tra i differenti biotopi. Per questo una attenta qualità naturalistica, senza un serio controllo sui tempi necessari alla sua crescita, rischia di essere un approccio debole.


L’analisi a scala urbana deve coinvolgere sociologi, antropologi e storici che devono lavorare assieme all’architetto. Con loro artisti, musicisti, registi… collaboreranno all’idea di città nuova affinché lo spazio modificato sia in grado di influenzare gli animi, proporre nuovi stili di vita generando desideri diversi più appetibili e più sostenibili. La vera architettura si riconosce e si giudica da quello che riesce a far accadere nei comportamenti delle persone, per come è in grado di coinvolgerle.


Occorre orientare i processi di appropriazione antropica del suolo verso una prospettiva in grado di integrare -e non allontanare- uomo e natura, architettura e genius loci senza scorciatoie, lasciando che le cose si conoscano, si apprezzino e si confondano. Troppo spesso costose infrastrutture per collegamenti rapidi aperti alla speculazione fine a sé stessa, hanno vanificato e sprecato iniziative salvifiche e risarcitorie nei confronti dei danni inferti dall’uomo alla natura.


Occorre in questi casi innescare processi dove sia attivata una responsabilità collettiva in grado di prendersi cura del progetto sin dai suoi primi passi. I processi sociali e la forma spaziale sono intimamente correlati, questo implica, da parte dell’architetto un pensiero olistico e un approccio generalista che metta davanti a ogni scelta la qualità dell’abitare strettamente correlata con il minimo impatto ambientale soprattutto la dove la forma naturale si è modellata nel tempo all’interno di sistemi integrati e correlati.


© Edizioni Archos

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