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L'Ombra e il Silenzio

C’è un vedere profondo che avviene al buio e un ascolto intenso che si compie nel silenzio, così come c'è il tormento che ombra e silenzio, come tonalità emotive, sono in grado di produrre


Foto © Dominique Bollinger


Dell’ombra, definendola misura della luce, abbiamo parlato nel numero 11 di ArtApp dedicato appunto alla LUCE. In questo vorremmo piuttosto parlare dell’oscurità e anche della sofferenza che buio e silenzio, come tonalità emotive, sono in grado di produrre. Del silenzio non solo come elemento espressivo denso di significato musicale e passionale, ma anche come solitudine, come vuoto, come assenza angosciosa, come non appartenenza, come risposta all’imbarazzo. Come “rinuncia a qualsiasi intenzione” (John Cage). Due termini sostanzialmente allusivi, l’ombra e il silenzio, come per il tempo siamo sicuri di possederne il significato finché non siamo costretti a esprimerlo. Per Aristotele addirittura il silenzio, come assenza di suoni e rumori, non esiste poiché siamo immersi nella musica delle sfere, la celeste armonia che “è un suono che ci è presente sin dalla nascita e non è possibile riconoscerlo, in quanto ci manca la percezione del suo contrario”.

Scriveremo di quel grigio sentimento che accompagna la certezza della nostra ignoranza di fronte alle cose sconosciute che appartengono alla natura, ma che non possiamo comprendere. Di quella parte invisibile della nostra vita che ci parla nel silenzio e che spesso non vogliamo ascoltare. Di quell’ombra che va ben oltre il confine di un corpo, che si sposta come vuole e il suo limite non è certamente chi la produce. “Nell’ombra -scrive Claudio Magris nella prefazione del libro Quel che resta di Vito Teti- le cose, gli individui, le storie, il passato e il presente, ma anche la speranza e il sogno del futuro vengono custodite, nascoste, ma raccolte”.


Per l’architetto la ricerca dell’ombra di un luogo è scoprirne l’anima al punto che potremmo dire che l’ombra di un luogo è la sua anima, se la vedi e la senti sei già a metà dell’opera. Ritrovare quello che c’è già o è rimasto, trasformarlo o cancellarlo è nelle mani dell’architetto che, in quanto creatore di luoghi (Agostino), non è mai un conservatore né degli spazi né della materia, che plasma per costruire altri luoghi. Scava e ascolta e attraverso il riuso ridà energia perché l’inizio di un luogo non è mai la fine di un altro se sei in grado di vederne l’ombra. “Non cancellate quell’ombra” è il consiglio che do ai miei studenti e collaboratori quando parliamo di rigenerazione. “L’ombra è l’incredibile ricchezza costituita dall’indissolubile unità della vita e della morte, ben più ricca dell’astratto isolamento della vita che reprime o ignora la morte...” (Claudio Magris).

Quando il silenzio è carico di attesa è solo un tacere. Silenzi pesanti, anche rassegnati, quelli a tavola tra figli e genitori, tra amanti o chi si è amato, per cose non dette, che si vorrebbero dire, che si crede di non poter dire. Silenzi causati da ombre lunghe di cose dette male in momenti sbagliati. Sono i silenzi insopportabili come è insopportabile l’oscurità della coscienza, non riuscire a valutare la bontà del proprio agire e qui forse ha ragione Derrida: “nessuna coscienza è possibile senza la voce. La voce è essere accanto a sé come co-scienza. La voce è la coscienza”.


Eppure, emettere un suono non significa esporre la nostra interiorità, il pensiero e la voce possono, nello stesso momento, comunicare cose diverse una interiore e l’altra esternata e questo perché il nostro corpo è molto di più di quello che esprime con i sensi. La sua vitalità non è espressione dei suoi sensi, ma di un interesse per il mondo molto più profondo. Il cieco e il sordo assumono un contatto col mondo anche più profondo di chi sente e vede con occhi e orecchie e questo perché il mondo è ciò che vivo e abito e anche ciò che penso che sia o so che è per memorie trascendenti la mia vita in quel momento.


Per Heidegger il silenzio è ciò che esprime il non espresso: quando manca la parola, siamo di fronte a una realtà indicibile con essa, ma esprimibile in altri modi: privilegiato in tal senso è il linguaggio dell’arte. “Schubert (tuttavia) si rivolge al silenzio quando non ha più parole per esprimere la disperazione, quando non riesce più a districarsi nella ragnatela delle passioni, quando il dolore non si può più cantare” scrive il violoncellista Mario Brunello nel suo libricino sul silenzio edito dal Mulino. Per questo Wittgenstein invita a tacere su ciò di cui non si può parlare.


Ma il silenzio, anche quando provoca angosce e commozione, predispone alla voglia di comprensione, trasformandosi in luogo dell’ascolto:“il silenzio ha un potere particolare, una intellegibilità particolare, del tutto primaria: esso rivela la potenzialità dell’ascolto genuino. Nel dialogo, nel dialogo autentico, il silenzio è lo spazio che avvolge lo stare insieme dei due dialoganti nella reciproca, elementare trasparenza” (Pina Moneta). Se il silenzio è il luogo dell’ascolto, avvolgendo il nostro stare assieme, così il pensiero, che nel silenzio si prepara ad accogliere e ad ascoltare, diventa il luogo ideale dove riporre la memoria di ogni cosa che ci è accaduta o che vorremmo o non vorremmo che ci accada. Il silenzio, per Plotino, è la via privilegiata per rapportarci all'Uno attraverso la contemplazione mistica come linguaggio dello spirito, come rappresentazione dell’immaginario. L’ascolto del silenzio solitario, unito a prassi psichedeliche, al digiuno ascetico a esercizi mistici ha un potere quasi ipnotico in grado di disintegrare la coscienza di sé, spezzare i circoli viziosi della mente, generare esperienze spirituali e trascendenti, sentimenti di congiunzione profonda con l’universo. In questo caso l’associazione non è con l’ombra, ma con la luce del deserto, delle stelle, del fuoco, delle lampade lampeggianti e stroboscopiche; al contrario occultismo e magia hanno bisogno di oscurità e di rituali collettivi.


L’architettura vive nel silenzio e nel vuoto, due contenitori che hanno in comune l’accoglienza, ma si nutre di suoni e rumori, e si compone di luci e di ombre. L’esperienza estetica dello spazio architettonico ha bisogno di luce che consenta l’attraversamento, in grado di avvolgere, accogliere, rigenerare mediante ombre e riflessi, ma mai di buio. Voce e movimento sono i sensi che maggiormente interagiscono con lo spazio, con essi il nostro corpo si orienta e scambia informazioni. La ricerca di armonia in questi due sensi è volta ad affondare il nostro essere nell’armonia della natura che ci circonda e nella quale siamo immersi.


Il silenzio può rappresentare il momento di fusione assoluta tra questi due stati armonici?

Il silenzio esiste, ma non si sente, “è come il buio, bisogna avere il coraggio di guardarlo e poi pian piano si cominciano a vedere i contorni delle cose” (Renzo Piano). Come è diversa l’interpretazione dell’ombra nella cultura occidentale e in quella orientale, soprattutto giapponese dove la materia non risplende alla luce, ma si colora di ombra sfumandone i contorni. Silenzio come assenza di suoni e di voci, ombra come assenza di colori e di rifrazioni entrambi come rifugio e isolamento, ma non per tutti: pare che Johann Sebastian Bach abbia detto o scritto che “la musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che sta fuori” (ndr Mario Brunello).



© Edizioni Archos

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