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Le nuvole di Vittorio Giorgini

La suggestione dei disegni, le soluzioni tecniche e le idee geometriche fortemente innovative dell'architetto fiorentino di cui decorre quest'anno il decennale della scomparsa

"Liberty" (cantiere) 1977-79 - Photo © Archivio Vittorio Giorgini

«Ricordiamoci quanto è stata catastrofica l’idea per un mondo migliore! Non dovremo scegliere cose ovvie, ma pensare quello che nessuno ha mai pensato». Non sono parole di un adulto, ma di Federico, un bambino pisano di 10 anni, raccolte assieme ad altre da Luca Mori nel bel libro “Utopie di bambini. Il mondo rifatto dall’infanzia”. Parole che mi hanno subito riportato alla mente i concetti che Vittorio Giorgini ha espresso per tutta la sua vita, fino all’età della sua scomparsa, avvenuta nel 2010 alla soglia di 84 anni. Ricordo tra i tanti un episodio, avvenuto nel 2003, in occasione della realizzazione del progetto per il concorso della ricostruzione della Torre Civica di Scarlino (Gr), posta un tempo sulla sommità del palazzo comunale e andata distrutta nel 1950.


Dopo il sopralluogo al paese, tornati in studio, Giorgini rimase qualche secondo fermo, seduto al tavolo con la carta velina davanti. Poi con la matita in mano, cominciò a tracciare linee sul foglio dicendo al contempo che i partecipanti al concorso avrebbero sicuramente pensato alla torre con le forme più strane, ma sempre partendo dalla base su cui era impostata in origine la torre, quindi dal basso verso l’alto come un processo naturale di costruzione. A un certo punto disse: «noi faremo quello che nessuno penserà mai, riportiamo la torre dall’alto verso il basso! ». Il progetto, che non sto qui a raccontare, fu un’avventura incredibile che ci valse il premio per il progetto più originale; vinse alla fine una proposta più rassicurante per la giuria, a conferma che l’insolito è sempre visto con sospetto.


Cantiere "Liberty" - Photo © Archivio Vittorio Giorgini


Ecco, le parole di Federico, facendomi riflettere su come la distanza tra un bambino e un anziano si possano azzerare così facilmente, riportano al contempo la mia memoria all’atteggiamento di Vittorio Giorgini verso la vita e non solo verso l’architettura; a come convenisse sempre sul fatto che, anche se solo per frammenti, le utopie funzionano sempre; «l’importante è cominciare a fare, osando. Le cose che funzionano di più sono quelle a cui nessuno pensa mai, incancreniti dall’abitudine». Da sempre, d’altronde, la suggestione e il carattere fortemente evocativo dei disegni e dei modelli di Vittorio Giorgini, la loro atipicità morfologica, le soluzioni tecniche e le idee geometriche fortemente innovative, gli hanno valso spesso l’appellativo di architetto utopista.


"Liberty" china su carta - © Archivio Vittorio Giorgini


Confinandolo nella larga schiera di quei progettisti che vedranno le loro opere proiettate nel lontano futuro e non affidate alla materiale costruzione nel tempo presente. Mi fa sorridere ricordare il fatto che lui, con lo sguardo meravigliato, mi diceva al contrario che le sue soluzioni progettuali erano “volutamente mantenute entro una credibilità tecnica e funzionale”, con l’intenzione proprio di evitare il rischio dell’etichetta utopica e fantascientifica! «È che le persone si fermano alla forma, e se le forme non sono riconoscibili, si finisce con l’essere definito un visionario. Con orgoglio allora rivendico di essere un visionario!» Non a caso Haresh Lalvani, amico e collega dell’architetto fiorentino al Pratt Institute scriverà nel 1995: «I progetti pionieristici di Giorgini emergeranno come una guida e continueranno a ispirarci attraverso la loro esemplare sintesi di arte e scienza architettonica attuata nel vigoroso lavoro di un visionario coraggioso».


Perché ci vuole coraggio, quando hai uno studio professionale avviato (siamo a fine anni ’50, inizio anni ’60), con l’edilizia tradizionale a pieno regime, a mettersi a fare ricerche, che portano via molto tempo e risorse - finalizzate alla comprensione della struttura e dei metodi costruttivi esistenti nelle forme naturali. Ma soprattutto ci vuole grande curiosità per studiare gli oggetti esistenti in natura in relazione al costituirsi della loro forma, e intuire che anche quelle della natura sono assimilabili a tecniche di costruzione e di funzionamento. Ci vuole lungimiranza nel ricreare artificialmente un metodo costruttivo che abbia la stessa efficienza di quello delle strutture naturali. Bisogna avere molta audacia per ideare e sperimentare edifici con una tecnica costruttiva mai provata prima (la rete e il cemento) e senza calcoli strutturali, come accadde con casa Saldarini a Baratti (1962) – attuale casa Sgorbini, o con il centro comunitario Liberty, a Parksville negli Stati Uniti (1977-79).


Vittorio Giorgini sul cantiere "Liberty" - Photo © Archivio Vittorio Giorgini


Diafani volumi che ondeggiano, espandendo e contraendo la loro massa leggera, alla stregua di una crescita molecolare o come una nuvola mossa dal vento che si solleva da terra. Morbide superfici che ricadono su se stesse e si sviluppano topologicamente senza soluzione di continuità. Cinquant'anni dopo altre nuvole, impropriamente dette, vengono realizzate, da altri architetti (archistar), ma sono pesanti, costosissime, senza l’impegno di una ricerca, restando solo forma, e progettate con l’aiuto di programmi informatici. L’antesignano ruolo dell’architetto fiorentino è oggi riconosciuto dai critici. Non piegandosi alle logiche del commercio e del facile consenso, validando per frammenti la fondatezza delle sue teorie, in un percorso tutto isolato e senza aiuti, Vittorio Giorgini, parafrasando Herman Hesse, ha preferito rimanere fedele a se stesso e sognare città del futuro piuttosto che costruire case isolate.





© Edizioni Archos

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