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O Disse A TE, uno spettacolo che indaga la figura di Telemaco, l’erede di Ulisse

“O Disse A TE” con Fabrizio Stasia, è un monologo che nasce da una ricerca drammaturgica sulla resilienza

Telemaco, interpretato da Fabrizio Stasia

Cosa rimane a una generazione i cui i padri sono come Ulisse, partiti alla ricerca della propria affermazione e non ancora tornati? Personalità ingombranti che hanno compiuto imprese la cui gloria riecheggia in tutti i racconti di mare in mare, genitori assenti che hanno lasciato vuoti da colmare, debiti da pagare e madri da proteggere? Da questo punto di vista la grandiosità di Ulisse perde ogni fascino e trova, nell’altro lato della medaglia, un racconto diverso, più plausibile nonostante la fatica di accettare una scomoda verità. Giulia Bavelloni e Chiara Lombardo, registe e drammaturghe dello spettacolo “O Disse A TE”, come scrupolose archeologhe fanno emergere la figura di Telemaco dal fango dell’oblio, dall’ombra del padre onnipresente, per un caso inizialmente fortuito ma che si rivela essere uno dei migliori esiti.

I primi passi di questo progetto teatrale avevano l’obiettivo di approfondire il tema della resilienza dell’eroe per eccellenza, Ulisse, attraverso interviste alla comunità del quartiere torinese in cui opera Municipale Teatro, la compagnia delle due giovani registe e drammaturghe. La scoperta che non era Ulisse il personaggio in cui la maggioranza degli intervistati si immedesimava ha portato Lombardo e Bavelloni a modificare in corsa il loro oggetto di ricerca e, da professioniste e donne resilienti, capaci di affrontare una crisi, cioè il rovesciamento della barca, e trasformarla in forza, quindi risalirci, hanno creato uno spettacolo attorno alla figura di Telemaco, l’erede di Ulisse. Telemaco, interpretato da Fabrizio Stasia, è sulla spiaggia di Itaca, «venuto a guardare l’orizzonte con uno sguardo diverso» e si ritrova a fare i conti con se stesso, «figlio di nessuno, nato senza una magia»: niente di speciale, con la giovinezza zoppa di chi è diventato adulto troppo in fretta, fornito di tutte le difficoltà di auto affermazione, di socializzazione, di proclamazione del diritto alla speranza e del bisogno di essere amato possibili. Chi è Telemaco se non ogni individuo di questa generazione di trentenni a cui non rimane altro che provare, non per riuscire, ma «per provare»?


“O Disse A TE” è un monologo fortemente contemporaneo, sia per la chiave di lettura restituita dal protagonista, sia per il linguaggio scenico proposto, arricchito dalla sonorizzazione di Minus&Plus, live nella versione al Teatro Gobetti di Torino il 14 e 15 aprile 2019, e dalle videoproiezioni di MyBossWas. Il tappeto sonoro intessuto dal duo Minus&Plus si è rivelato un magnete in grado di invertire gli stati d’animo del pubblico, grazie all’uso magistrale di numerosi strumenti ed effetti governati dai due poli in scena, Giorgio Ferrero e Rodolfo Mongitore, sound designer, produttori e compositori italiani attivi a Torino, autori di installazioni sonore, colonne sonore (nelle sale da poche settimane il film “Beautiful Things”). Il figlio abbandonato su un’isola, in attesa del ritorno ipotetico del padre, impaurito da tutto ciò che lo circonda, l’acqua, impegnato a convincere Argo, quel cane anch’esso abbandonato da Ulisse a uscire dal mare. Da questa posizione noi ci arriviamo ad avere voglia di provare? O rimane solo la voglia di lamentarsi, nemmeno più quella di disperarsi? Telemaco è umano e se lo concede, si lamenta, non si dispera, ma si lamenta. L’erede di Ulisse è il suo orfano, successore dei diritti e degli obblighi di un padre di cui non si ricorda nemmeno il volto.


Muovendo dal “Complesso di Telemaco” dello psicanalista Massimo Recalcati, “O Disse A TE” mette al centro un eroe nuovo, fragile e la sua ricerca immobile del 100% di sé, dell’accettazione di chi è davvero prima della conquista della sua eredità. Tra ironia e disperazione, l’interpretazione di Stasia, dolce ed entusiasta, impotente e serena, volto e voce al contempo onirici e materici, perfetti per incarnare il trentenne di oggi, accompagna lo spettatore dall’empatia con il giovane figlio abbandonato da un padre troppo grande da emulare, fino alla simpatia per il giovane uomo consapevole dei suoi limiti, che si accetta e ama sé stesso anche se non è un eroe, nemmeno piccolissimo. Telemaco esplicita la fragilità e la porta in scena davanti a tutti, non positiva né negativa, semplicemente umana, e porta nel mondo di oggi uno dei valori dell’antico mondo greco, l’ospitalità, accettando sé stesso. Siamo la generazione in cui possono convivere le contraddizioni, additate e giudicate da chi ha creato il mondo in cui viviamo, e in questo mare ci galleggiamo serenamente, in attesa di iniziare a nuotare e andare lontano.Che sensazione provi quando ti accorgi che il mondo in cui vivi non è come te lo raccontano? La senti la libertà che solo accettare la verità, anche se scomoda e fastidiosa, ti sa dare?

Che sensazione provi tra i 30 e i 40 anni, quando da molti anni vivi e lavori cercando di fare cultura, di fare teatro, e ti rendi conto che un prodotto teatrale genuino, capace di parlare con un linguaggio attuale, capace di portare il personaggio del poema omerico per eccellenza sul palcoscenico e dargli un racconto con profonde radici nel presente, non rientra nelle stagioni dei principali teatri italiani, non prevede una circuitazione diffusa e non verrà visto da una moltitudine di pubblico pagante? Nel panorama del teatro italiano attuale, dove chi doveva mangiare ha mangiato, e le casse sono sempre vuote, dove non si parla ancora di rinascita, dove si è alla ricerca disillusa e pigra di nuovi interpreti, nuovi drammaturghi, nuovi registi, nuovi direttori capaci delle grandi imprese dei padri, Fo, De Filippo, Ronconi, Strehler; dove ancora i padri occupano spazi e ruoli e i giovani invecchiano continuando a essere definiti “giovani”, perché senza esperienza, senza maturità professionale, senza la possibilità di mettersi alla prova, ma semplicemente in attesa, cosa rimane a chi resta? Cosa rimane alla mia generazione?

Mimma Gallina, una delle massime autorità dell’organizzazione teatrale italiana sin dagli anni ’70, ancora attiva nelle Buone Pratiche del Teatro insieme a Oliviero Ponte di Pino, afferma in un’intervista di aprile 2018 al critico teatrale Andrea Porcheddu «Vivere del lavoro di attore oggi, per un giovane è quasi impossibile, ma anche per attori già affermati può essere molto difficile: per la contrazione del mercato, delle risorse pubbliche e delle modalità di gestire entrambi, certo, ma forse anche per l’ evoluzione della funzione del teatro nello spazio della cultura […]. L’importante è sostenere e difendere le specificità del lavoro nello spettacolo, che richiede tempi di studio individuale, ricerca, formazione continua.»

Come Telemaco in “O Disse A TE” anche il teatro italiano si ritrova abbandonato, in attesa e forse senza speranza, e come moltissimi spettacoli di qualità, anche “O Disse A TE” rischia oggi in Italia di rimanere senza un futuro. Ma grazie a “O Disse A TE”, attraverso la ricerca di Chiara Lombardo e Giulia Bavelloni, all’interpretazione di Fabrizio Stasia, allo studio di Massimo Recalcati, si arriva, quasi inciampandoci a Goethe, chiosato da Freud, "Ciò che avete ereditato dai vostri padri, riguadagnatevelo, in modo da poterlo possedere". Noi nel frattempo cerchiamo di produrci le armi per tornare a conquistare le nostre eredità e accettiamo di essere orfani per tornare ad avere le stesse opportunità di chi c’era prima di noi.


© Edizioni Archos

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