Miel e furmai
Attraversare la terra. Il comune denominatore tra miele e formaggio

Transumanza | Photo di Aurelio Candido
L’origine storica dell’abbinamento tra miele e formaggio si perde nella notte dei tempi e oggi è la più lapalissiana tra le proposte di una cena o un aperitivo: tralasciando la considerazione se sia opportuno o meno, come la maggioranza delle antiche abitudini rurali, oggi vengono servite sulle tavole in forma chic. [...] Miele e formaggio sono prodotti chiave delle comunità contadine, con evoluzioni diverse nei processi di produzione e fortune alterne nella fama e nel consumo presso il popolo. [...] Entrambi questi prodotti dell’artigianalità sono simboli della cultura in Italia più che in altri luoghi: ci sono oltre 44 mieli uniflorali catalogati oggi sul territorio nazionale, in base all’origine botanica, e infinite qualità di millefiori caratteristici dei territori in cui vengono raccolti; per i formaggi i numeri della produzione italiana sono inquantificabili, tenendo in considerazione che ogni territorio ha uno o due prodotti caseari tipici e ogni regione specie animali autoctone e caratteristiche.
Api, capre, pecore, mucche sono animali la cui cura non contempla distinzione tra vita privata e lavoro: il pastore respira in simbiosi con la fonte del proprio reddito, vive il mestiere in sinergia con i tempi delle stagioni e della natura, perché le necessità dell’animale sono la priorità e queste professioni non si apprendono solo in classe o sui libri, ma vanno vissute sul campo con gli scarponi bagnati si rugiada e lo sguardo che indaga l’evolvere del meteo. [...] Il punto in comune tra miele e formaggio è la transumanza, questa faticosa e immancabile pratica di migrazione stagionale alla ricerca di cibo, trans-humus, cioè attraversare terreni, con l’imperativo unico di soddisfare il bisogno primario: la sopravvivenza.

Pecore d'Olgiastra | Photo © Aurelio Candido
[...] La transumanza una volta si faceva rigorosamente a piedi, dormendo in ricoveri occasionali, mungendo tutte le mattine durante il viaggio, facendo il formaggio e lasciandolo ai proprietari delle cascine, lungo i tratturi in cambio dell’ospitalità per animali e pastori. [...] Una pratica necessaria oggi, ma ostacolata dall’infinito numero di permessi che i pastori devono sottoscrivere per attraversare terreni di proprietà. E non solo. La transumanza di api viene fatta di notte perché il popolo di impollinatori è chiuso negli alveari a lavorare nelle cellette, a trasformare il nettare in miele, il polline in pane d’api. Il pastore di api le alleva e le trasporta in casette di legno, arnie con oltre 100.000 esemplari e una temperatura che in presenza di covata, fosse pure il 15 di febbraio, tocca i 38°C. I pascoli per l’apicoltore sono luoghi strategici che l’ape sorvola nell’incessante ricerca di ciò che serve all’alveare.
[...] Senza api, basta frutta. Semplificando. Senza tante tipologie di botaniche che nutrono le api, basta miele, basta api, basta ecosistemi sani, e quindi basta frutta. I pastori quindi sono custodi. [...] Ho trovato l’interessante lettera scritta a febbraio 2020 da Mattia Moro, giovane pastore sardo, indirizzata ai Ministero dell’Agricoltura e a quello della Cultura: «Il pastore non è solo una categoria di lavoratore, il pastore è il portatore di una cultura che è diventata la base delle nostre comunità: la cultura dell'accoglienza, della condivisione, del rispetto, della collaborazione. Varcando i confini limitrofi al suo territorio, in tempi non molto remoti, il pastore transumante ha fatto sì che la cultura delle singole comunità si divulgasse in tutta l'Isola, unificando il senso di appartenenza e arricchendo l'identità di un intero popolo. Il pastore esercita anche un ruolo pubblico per tutti noi, quello di salvaguardare e tutelare il territorio. La presenza nelle campagne e il suo lavoro quotidiano assicurano pulizia, cura, protezione di tutto l’ecosistema.»

Questa lettera solleva un’importante questione relativa alla riforma del comparto agropastorale e alle forme di sostegno attivate dalle istituzioni oggi. Lo stesso problema esiste nel settore dell’apicoltura. I bandi per contrastare le crisi della produzione di formaggi e miele non sono adeguati alle condizioni in cui imperversano i settori pastorali e apistici. Semplificando, se quest’anno un alveare invece di produrre 40 kg di miele ne ha prodotti 10 kg, non occorre un bando che permetta all’apicoltore di ristrutturare il proprio laboratorio con nuove macchine per smielare il miele prodotto. Non c’è miele da smielare e le cause sono molteplici. [...] Le conseguenze sono che l’apicoltore nomade, abituato a percorrere da marzo a settembre anche 30.000 km per prendersi cura degli apiari nei vari pascoli, le distanze le percorre lo stesso ma per un raccolto decisamente inferiore. Certo, avrà un laboratorio nuovo, finanziato al 50% ma per lavorare quale prodotto?
Estratto dall'articolo pubblicato su ArtApp numero 23 | L'Identità
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